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Museo della Navigazione delle Acque Interne - Capodimonte




È uscita la nuova guida realizzata da Blue Lion Guides per conto del Museo della Navigazione delle Acque Interne di Capodimonte, un museo archeologico e antropologico, fondato nel 2010 e ospitato nellántica struttura del mattatoio comunale. Il museo nasce principalmente per esporre la piroga monossila dell’Isola Bisentina, rinvenuta nel 1989. La guida gratuita comprende un percorso del museo e una passeggiata per Capodimonte e dintorni. Può essere scaricata dal web seguendo questo link.

Prima di iniziare il percorso di visita, sostiamo qualche minuto in una piccola antisala dove un filmato dai suggestivi effetti di suoni e di luci ci condurrà nelle profondità del Lago di Bolsena, nel punto in cui alcuni decenni fa avvenne la scoperta della piroga dell’età del Bronzo. Da qui, oltrepassata la grande porta scorrevole, accediamo alla prima sala espositiva in cui campeggia l’imbarcazione protostorica, racchiusa in una teca piramidale. Il pavimento di cristallo che lascia scorgere in trasparenza la riproduzione del fondale del lago, realizzato in resina, offre la sensazione di trovarsi sulla superficie dell’acqua. L’imbarcazione, dunque, ci appare come se galleggiasse ancora. Alle spalle della teca, una gigantografia del lago e dell’Isola Bisentina ci ricorda il punto in cui fu rinvenuta l’imbarcazione.

Ora avviciniamoci al reperto: notiamo che si tratta di un unico tronco di legno, scavato con i rudimentali ma efficaci strumenti risalenti a più di tremila anni fa.
La piroga fu rinvenuta nel 1989, nel corso di ricerche subacquee svolte, in quegli anni, dal Museo Territoriale del Lago di Bolsena. In base alle analisi effettuate con il metodo del radiocarbonio, l’imbarcazione risalirebbe ad un’età compresa tra il 1365 e il 1020 a. C., ovvero all’età del Bronzo Finale. Il tipo di legno utilizzato è il faggio, una specie arborea attualmente non presente in queste zone ma diffusa in aree più elevate, come i Monti Cimini. Questo ci consente di ipotizzare condizioni climatiche e ambientali differenti dalle attuali, durante l’età del Bronzo, nella zona del Lago di Bolsena.
Le sue due estremità erano sicuramente identiche e pertanto potevano fungere indifferentemente da prua e da poppa. Osservando più da vicino l’estremità meglio conservata, cioè quella rivolta verso la porta da cui siamo entrati, si può vedere chiaramente una forma a semicerchio, probabilmente ciò che resta di un anello intero. Si presume che la piroga fosse dotata di due anelli, uno per ogni estremità. Riguardo la loro funzione, si è ipotizzato che potessero servire o per le manovre di ormeggio oppure per collegare tra loro due o più piroghe, riproducendo una sorta di “catamarano”, come ci mostra il modellino che vedremo nella terza sala espositiva.
Sul fondo della piroga sono presenti anche due serie di fori passanti chiusi da tasselli, aventi forma circolare e rettangolare: probabilmente sono serviti al costruttore per controllare lo spessore del fondo della barca durante la lavorazione dello scafo, operazione che non poteva essere svolta a vista come per le fiancate. Una volta terminato il lavoro, i fori venivano poi richiusi con tasselli in legno.


La “naue” del Lago di Posta Fibreno (Frosinone)

Naue del lago di Posta Fibreno. [Foto: Ass. Arbit]
La piccola imbarcazione qui esposta è tipica del Lago di Posta Fibreno, in provincia di Frosinone, un bellissimo specchio d’acqua caratterizzato da acque trasparenti e molto pescose. Queste barche da pesca avevano le estremità uguali, senza differenze tra prua e poppa. Per la loro fabbricazione si utilizzavano assi di legno di un tipo di quercia conosciuto con il nome di “roverella”, tenute insieme per mezzo di chiodi forgiati a mano. La giunzione tra le assi era rinforzata anche da collanti naturali, in particolare un impasto di muschio e farina, molto resistente. La “naue” era una imbarcazione solida, in grado di trasportare un carico anche di 7/8 quintali. Per navigare si usavano un lungo remo in legno di pioppo, detto “pala”, e un altro tipo di remo, il “palone”, che serviva per spostarsi in acque più profonde. Avendo la forma di cucchiaio, il “palone” era utile anche per svuotare l’acqua che poteva depositarsi nel fondo della barca durante la navigazione. Questo tipo di barca fu utilizzato sino alla metà del secolo scorso soprattutto dai pescatori ma anche dai contadini che dovevano trasportare il raccolto e le erbe acquatiche che servivano da foraggio per i bovini.

La “bbarka”: l’imbarcazione tipica del Lago di Bolsena

L’ultima barca da ammirare è un’opera di Luigi Papini, l’ultimo “mastro d’ascia” del Lago di Bolsena.  Papini appartiene ad una famiglia che ha realizzato le barche per i pescatori del Lago di Bolsena (ma anche dei Laghi di Vico e di Bracciano) per ben quattro generazioni. La loro falegnameria era ubicata a Bolsena.

Reti Capodimonte Sala Fanelli.jpgI legni usati per costruite le “bbarke” sono stati vari nel corso del tempo: dapprima si è usato il cerro, un tipo di quercia che cresce nei boschi e nelle macchie della zona del Lago di Bolsena; poi sono stati utilizzati legni esteri come il mogano e poi il durissimo legno africano iroko, dopodiché è subentrata la resina che ha sostituito definitivamente il legno e ha posto termine all’attività dei mastri d’ascia.
La barca esposta nel nostro museo è realizzata eccezionalmente in legno di pino (più economico), ma le matee sono in legno di olivo, secondo l’uso tradizionale. La lunghezza di queste barche era di 6,50 m e con le due estremità arrivavano a circa 7,20 m. Il rispetto di queste misure era fondamentale per assicurare la stabilità della barca. Quando ancora non venivano impiegati i motori, fino agli anni Cinquanta, talora si faceva ricorso ad una sorta di vela, chiamata “copertaccia”, che veniva collocata su un bastone inserito in un foro nel sedile vicino alla prua.

I remi erano costruiti in legno di castagno: si usuravano rapidamente per cui era necessario costruirne di nuovi con una certa frequenza. Avevano nomi diversi a seconda della posizione: uno si chiamava “ròsta” (svolgeva la funzione di timone) e l’altro “rièmo”. I remi venivano legati agli scalmi  con lo “stròpio”, che solitamente era una corda ricavata da pezzi di rete. Un altro pezzo di rete, detto “mozzo”, veniva collocato sul bordo della barca, nel punto in cui poggiavano i remi, per evitare l’usura del legno in quel punto.

Con l’introduzione della vetroresina per la costruzione delle barche, Luigi Papini ha interrotto la sua attività. Le ultime barche in legno sono state realizzate dal mastro d’ascia per il Palio del Lago, la regata storica con le barche tipiche del Lago di Bolsena, che si è svolto dal 1996 al 2001.
Video icon BL.png Sul Canale Youtube del museo è possibile visionare il documentario "L'ultimo mastro d'ascia. Un viaggio nelle memorie", soggetto e regia dell'antropologa Ebe Giovannini e dell'archeologo Maurizio Pellegrini, realizzato appositamente per il Museo della Navigazione. Visualizza il video
I due autori intervistano Luigi Papini e alcuni anziani pescatori di Marta, borgo di pescatori posto a poco più di due chilometri da Capodimonte, in cui la tradizione della pesca è ancora molto viva ed è famoso il pittoresco "borgo dei pescatori" dove si possono ammirare le barche con le reti stese ad asciugare lungo la spiaggia. Alcune scene del documentario mostrano la barca realizzata dall'ultimo mastro d'ascia del Lago di Bolsena durante le fasi di posizionamento all'interno nostro museo, dove si trova attualmente. Di recente la barca è stata impreziosita dalle reti donate da Elio Natali, anziano pescatore di Marta.



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