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Il presunto ritratto di Beatrice Cenci presso la Galleria Nazionale di Arte antica in Palazzo Barberini



In vista della pubblicazione di una guida dedicata alla Galleria Nazionale di Arte Antica a cura della dott.ssa Sara Parca, l’équipe di Blue Lion ha il piacere di accompagnarvi alla scoperta di uno dei capolavori più enigmatici di Palazzo Barberini: il presunto ritratto di Beatrice Cenci di Guido Reni.

Quella dedicata al Palazzo Barberini è solo una delle tante guide che Blue Lion consacrerà alla Città Eterna e ai suoi splendidi musei e palazzi.

Per celebrare e anticipare questa avventura editoriale che ci vede coinvolti, l’equipe di Blue Lion vi propone un viaggio a ritroso nel tempo e nello spazio… ristretto di una tela.


Il ritratto, la fanciulla vestita di bianco

« La tête est douce et belle, le regard très doux et les yeux fort grands : ils ont l'air étonné d'une personne qui vient d'être surprise au moment où elle pleurait à chaudes larmes. Les cheveux sont blonds et très beaux », Stendhal, Croniques Italiennes, Parigi, 1839.

(la testa è dolce e bella, lo sguardo è dolcissimo e gli occhi molto grandi : hanno l’aria stupita di una persona che è colta di sorpresa nel momento in un cui piange a dirotto. I capelli sono biondi e bellissimi, trad. dell’autore).
Così Stendhal descrive il quadro di fanciulla che egli ebbe occasione di vedere presso palazzo Barberini nel 1823. Come lui tanti altri scrittori e viaggiatori del Grand Tour (Shelley, Astolphe de Custine, Slowacki, per citarne alcuni) hanno scritto di questo ritratto facendo rinascere il mito mai sopito di Beatrice Cenci,  giovane aristocratica romana, condannata a morte per parricidio nel settembre del 1599. 

Non possiamo che dare ragione allo scrittore francese nell’ammirare anche noi quegli occhi sgranati e il biancore folgorante delle vesti che contrasta con l’oscurità dello sfondo. La scena è occupata dalla figura di fanciulla vestita di bianco, vista di profilo e con la testa di tre quarti. Il capo è cinto da un turbante di uguale tessuto bianco che lascia fuoriuscire delle ciocche castane chiare sulle guance e sulla nuca. Il viso disegna l’ovale delicato di un’adolescente. Grandi gli occhi castani. Le labbra piccole e dischiuse.  

Il quadro, un olio su tela di soli 64,5 x 49 cm, è attestato presso la collezione Colonna dal 1783 prima di passare alla collezione Barberini, alla quale appartiene dal 1818-1819. Esso è attribuito con riserva a Guido Reni.
L’autore presunto, Guido Reni

Nato a Bologna nel 1575, Guido Reni si forma in un clima artistico di primo piano segnato dall’estro dei Carracci. La dotta è all’epoca parte integrante degli Stati Pontifici, la cui capitale, Roma, ha ormai sottratto a Firenze il primato di maggior centro artistico in Italia.
Autoritratto di Guido Reni

Nella città eterna si concentrano le maggiori famiglie cardinalizie e con esse le principali commissioni, per chiese, cappelle e palazzi. Non sorprende quindi ritrovare a Roma un giovane Guido Reni, allora ventiseienne, già nel 1601, forse ancora prima. Ed è qui che, secondo la tradizione ottocentesca, il pittore avrebbe realizzato il ritratto di Beatrice, pronta per essere condotta al patibolo.

La vittima e carnefice, Beatrice Cenci

L’11 settembre 1599, Beatrice Cenci è condotta al patibolo istallato presso Castel Sant’Angelo. Con lei, la matrigna, Lucrezia Petroni ed i fratelli Giacomo e Bernardo. Quest’ultimo poi graziato per via della sua giovane età ma costretto ad assistere alla terrificante esecuzione dei famigliari.

E’ questo l’ultimo atto di una tragedia familiare che comincia anni addietro e che vede protagonista la giovane Beatrice e i fratelli, vittime di un padre, Francesco Cenci, violento e tiranno.

Francesco Cenci era un ricchissimo patrizio romano, ma furono la sua violenza e il suo insaziabile appetito sessuale a renderlo famoso presso i contemporanei. Questi appetiti gli causarono anche dei guai con la giustizia pontificia che lo condanno alla prigione per ben tre volte. Sembra che all’origine di questi guai, da cui si liberò pagando forti somme, vi fosse tra le altre cose un’accusa di sodomia. Notizia accolta da Stendhal che scrive: « Le moindre vice qui fût à reprendre en François Cenci, ce fut la propension à un amour infâme; le plus grand fut celui de ne pas croire en Dieu » (il minore dei vizi che si possono rimproverare a Francesco Cenci fu la propensione ad un amore infame, il più grande fu quello di non credere in Dio).

Avuti dalle prime nozze con la nobildonna Ersilia Santacroce, i figli di Francesco Cenci crebbero quindi con un padre dissoluto che non esitò a lasciarli sul lastrico, avendo sperperato il patrimonio in spese giudiziarie e clientele. Nemmeno le seconde nozze con la bellissima Lucrezia Petroni, da cui non ebbe figli, riuscirono a placarne il carattere.  
Salto Petrella
Spinto da una sordida ossessione, o temendo un ulteriormente salasso delle finanze dovuto al pagamento di una dote, Francesco Cenci decise dunque d’incarcerare la figlia cadetta, Beatrice, e la moglie Lucrezia presso il castello di Petrella, isolato tra le montagne dell’Appennino.

Non è difficile immaginare lo stato d’animo delle due donne che, falliti i tentativi di fuga e di supplica, progettarono l’uccisione di Francesco Cenci, con la complicità dei fratelli Giacomo e Bernardo e dei vassalli.  L’assassinio avvenne il 9 settembre 1598 per mano della stessa Beatrice che, assistita dalla matrigna Lucrezia, uccise il padre conficcandogli un chiodo nell’occhio. Il corpo venne poi gettato dalla rocca di Petrella, fingendo cosi una caduta accidentale.

La condanna a morte

La voce dell’assassinio di Francesco Cenci non tardò a spargersi, ma ad incastrare i congiurati furono una serie di incongruenze e di sospetti. Incarcerati e sottoposti alla terribile tortura della corda, i Cenci non tardarono a confessare il crimine.

A nulla servì la difesa di Farinacci, il più famoso oratore e giureconsulto del momento, e nemmeno il favore popolare di cui godette la giovane Beatrice. Altri omicidi clamorosi convinsero infatti il papa Clemente VIII a optare per una pena esemplare che venne eseguita l’undici settembre 1599.
Lucrezia Petroni e Beatrice vennero quindi decapitate sotto gli occhi del fratello Bernardo, appena quindicenne, Giacomo Cenci venne invece sottoposto all’orribile supplizio della mazzolatura.

Beatrice, Ginevra ed Elisabetta
 
Ginevra Cantofoli, Sibilla
Le fattezze di giovane fanciulla del ritratto di palazzo Barberini corrispondono alla descrizione di Beatrice Cenci tramandataci dalle fonti dell’epoca. Tuttavia è veramente il ritratto di questa giovane fanciulla? La risposta è verosimilmente negativa. Differenti elementi invalidano infatti questa attribuzione. Primo fra tutti l’esecuzione del quadro che non può essere avvenuta prima della condanna capitale, visto che nessuna fonte dimostra la presenza di Guido Reni a Roma prima del 1601. La prima fonte che riconosce la patrizia romana nel ritratto risale infatti al 1777.

Melpomene, E. Sirani,
National Musum of Women in art
Oltre al soggetto, anche l'attribuzione pone dei problemi. L’esistenza di alcune variazioni, di cui una conservata presso il museo Ala Ponzone di Cremona, rende difficile l’attribuzione al pittore bolognese.

Il quadro, di ignota provenienza, è segnalato dagli inventari ottocenteschi come ritratto di Sibilla della pittrice bolognese Ginevra Cantofoli (1618-1672). Altro nome proposto è quello di Elisabetta Sirani (1638-1665) che le cronache del tempo vollero vittima della gelosia amorosa dell’allieva Ginevra Cantofoli.

E infine Giuditta…

Giuditta e Oloferne, Caravaggio, Roma, Palazzo Barberini
A questo elenco di donne a dir poco sorprendenti si aggiunge, infine, la protagonista di una tela esposta nella stessa galleria del presunto ritratto di Beatrice Cenci. Si tratta della celeberrima Giuditta dacapitante Oloferne di Caravaggio.

La studiosa M. C. Terzaghi svela infatti l’esistenza di un sottile filo rosso che lega Beatrice Cenci, la Giuditta di Caravaggio e il committente dell’opera. Quest’ultimo certamente legato a quel Farinacci che tanto difese la sfortunata fanciulla romana. 

La datazione della tela caravaggiesca potrebbe addirittura coincidere con l’esecuzione capitale dei Cenci.

La Giuditta non può essere Beatrice Cenci, poiché conosciamo l'identità della modella utilizzata dal Caravaggio per questa ed altre tele. Tuttavia, come non pensare a Beatrice nel vedere questa (troppo) giovane Giuditta che con gesto sicuro taglia la testa ad Oloferne?
 
Qualunque sia la risposta, resta intatto il fascino che questi quadri emanano. Non ci resta che ammirarli presso la Galleria Nazionale di Arte Antica di Palazzo Barberini... accompagnati dalla guida Blue Lion!
(Presunto ritratto di Beatrice Cenci, Guido Reni, Roma, Palazzo Barberini)

Bibliografia essenziale


Sulle collezioni:


Mochi Onori L. e Vodret R., Galleria nazionale d’arte antica. Palazzo Barberini. I dipinti, Roma, 2008.

Sul presunto ritratto di Beatrice Cenci e sull’affaire Cenci:

 Bevilacqua M. e Mori E. (eds.), Beatrice Cenci. La storia, il mito, Roma, 1999.

Vodret Rossella, “Ritratto di Beatrice Cenci: radiografia di un mito”, in M. Di Sivio (ed.) I Cenci nobiltà di sangue, Roma, 2002, pp. 369-374.

Caravaggio e Guido Reni:

Terzaghi M. Cristina, Caravaggio, Annibale Caracci, Guido Reni tra le ricevute del banco Herrera & Costa, Roma, 2007.  




 


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